Devo averti perché ti amo - LUCYONLINE SRL
articolo

Marco Missiroli

Devo averti perché ti amo

10 Novembre 2023

Cosa spinge una persona a passare le notti sveglia a cercare e a trattare un paio di sneakers? Una volta che l’istinto al possesso si è insediato, è difficile non assecondarlo. Ma dietro alla brama del collezionista e all’ossessività che lo guida, c’è anche l'amore per l’avventura, e la possibilità di capire meglio se stessi.

In questo momento, mentre scrivo, sto trattando un orologio da 33.650 euro. Sto trattando significa che ci giro intorno da più di sette mesi, informandomi a più riprese su libri di settore, dialogando con il venditore, scovando orologi simili e comparandoli, agendo con offerte a ribasso attraverso una pressione costante sul reseller, conteggiando e riconteggiando le mie risorse economiche sperando che mi legittimino di colpo l’acquisto.

L’orologio è un Rolex del 1953 che per conformazione è considerato il precursore di molti modelli contemporanei. Ha un nome dal suono mitteleuropeo, Turn-O-Graph, che potrebbe aver inventato Winfried Sebald o Stefan Zweig. Non me lo posso permettere nella maniera più assoluta, ma questo è un dettaglio, come sono dettagli le conseguenze tragiche di certi bisogni futili e acutissimi portati a compimento. Quello che conta, ora, è la consapevolezza dell’amore, solo questo. 

Chiamo amore il momento in cui capisco che voglio una cosa a tutti i costi. Quando dico una cosa intendo un oggetto materiale, quando dico a tutti i costi intendo un desiderio che mantiene la trazione nel tempo.

Negli ultimi anni mi sono concentrato su orologi e scarpe, precisamente su orologi prodotti dal 1937 al 1979 e su scarpe da ginnastica disegnate da qualche designer. Prima capitava con i vestiti (poca roba, economicamente sostenibile), case da visitare e non da acquistare (finché non ne ho comprata una sbagliata – e venduta – al quarto piano senza ascensore, e un’altra giusta che mi ha acquietato a un prezzo umano), biglietti di aerei e prenotazioni di hotel (da sorvegliare un paio di volte al giorno in caccia del crollo di prezzo). 

L’amore può evaporare, ma quando si radica possono esserci due soluzioni: accettarlo o tentare una resistenza, spostando l’attenzione su qualcos’altro per sperare che il diversivo attecchisca.

Quale diversivo? Non lo so bene, ma credo abbia a che fare con qualche mio amico che mi faccia riflettere. L’ultima volta ho confidato a Marco Cassardo e Giorgio Fontana che avevo puntato un Audemars Piguet del 1978 da 23.500 euro. Cassardo, che è torinese e prudente, mi ha detto: Ma a cosa ti serve un orologio da ventimila euro. Io gli ho risposto: Ad averlo. Lui mi ha risposto che ero un picio. Fontana mi ha fatto delle domande. Prima domanda: Perché lo vuoi. Seconda domanda: Davvero lo vuoi. Poi mi ha raccontato che il padre ha alcuni orologi da collezione e allora ho capito che avrei avuto gioco sul suo tribunale. Abbiamo addirittura finito la conversazione con lui che mi avrebbe accompagnato dal rivenditore. Ma la verità è che la sua faccia raccontava molto, come quella di Cassardo: sono facce che mi ricordano mio babbo e mia mamma che da bambino dicevano che il mutuo si pagava lasciando le pellicce nei negozi e non andando a mangiare fuori, al massimo una pizza la domenica. Tutte quelle increspature sulla loro fronte. 

“Non me lo posso permettere nella maniera più assoluta, ma questo è un dettaglio, come sono dettagli le conseguenze tragiche di certi bisogni futili e acutissimi portati a compimento”.

Insomma, ho incassato il senso di colpa e l’Audemars Piguet del 1978 si è annidato leggero in un angolo dell’anima. Evaporazione dell’amore. A quel punto bisogna alzare tutti i livelli di attività neurovegetativa (raddoppiare le ore di lavoro, fare e guardare sport, mangiare cibi buoni, l’incremento della sessualità, i piccoli contro-acquisti azzeccati), completando la distrazione e chiudere la pratica.

Rimane un retrogusto acidognolo nel cuore, che scema pensando ai ventimila euro risparmiati e a dove reinvestirne una parte (un viaggio per la famiglia, felicità condivisa! Lotta al consumismo!), visualizzando le facce rasserenate di Cassardo e Fontana e del babbo e della mamma. In casi come questi, se sono fortunato, dopo un po’ ci penso come si pensa a certe cotte vissute in giovinezza che, più avanti, ci faranno tenerezza.

Se non passa, sono guai. L’amore è vero. Il da farsi è chiaro: forsennato controllo dei siti specializzati, iscrizione e partecipazioni ad aste, ripetute visite al rivenditore se ha un negozio fisico (con prova e riprova dell’articolo). È un’attività che nel periodo diurno assomiglia a un secondo lavoro in smartworking. Poi arriva l’imbrunire e tutto diventa più serio.

Dall’imbrunire, subito dopo cena, la casa si spegne e io comincio la cattura della preda. Mi siedo sul divano, mia moglie propone una serie tv e io dico Metti pure quello che ti pare. Poi apro l’Iphone e avvio la stretta del cappio. Stringere il cappio vuol dire che mi sento pronto a concludere l’affare. Se è un orologio, faccio due passaggi. I cataloghi per un ultimo tocco sulle caratteristiche della referenza, e Chrono24, piattaforma dove puoi acquistare direttamente facendo controfferte ai reseller. Spesso ho un prezzo ideale in testa e ci devo arrivare in trattativa.

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Se non accettano, sto in guardia sperando di acquietarmi e pace. Altrimenti tento piccoli rilanci per arrivare allo sfiancamento, come si fa con le aste: un lunedì di ottobre, in quattro ore di lavoro ai fianchi di un venditore, mentre mia moglie guardava Grey’s Anatomy, ho portato a casa un Rolex Explorer 1016 risparmiando il 27% della richiesta iniziale. Tempo dopo un Omega Dirty Dozen, con un taglio del 37% della proposta originaria. Per arrivare a questi risultati, studio l’oscillazione del mercato e la situazione di chi vende, attraverso informazioni che rastrello dalla storia imprenditoriale del reseller. Un tempo facevo lo stesso con la letteratura, stilando grafici di autori e testi. Adesso la situazione è questa: Hemingway o un Patek Philippe Calatrava in acciaio? Dorothy Parker o un paio di Nike Virgil Abloh? Silvio d’Arzo o Martin Margiela?

Tempo fa un collega mi ha raccontato con meraviglia di Mircea Cartarescu e di quanto il suo libro Abbacinante fosse un’opera d’arte. È uno spunto che in passato mi avrebbe generato un dibattito interiore irresistibile, chiedendo al collega di prolungare il nostro incontro per parlarne, tirando fuori altri autori di quella portata, magari traendo spunto per farne un articolo, o cominciando a studiare l’intera opera di Cartarescu per farmi trovare pronto la prossima volta.

Purtroppo il giorno prima avevo scoperto su un catalogo di un negoziante in via Col di lana a Milano l’esistenza del Rolex Turn-o-Graph 6202 che ha aperto questo mio scritto. Così, mentre il collega mi raccontava che nessuno di noi arriverà alle visioni planetarie di Abbaccinante – “è una questione di superamento del limite e di atmosfere rarefatte, capisci Marco?” – io pensavo al quadrante tropicale del Turn e alle sue rarefazioni in base al movimento del polso. Decidendo che andava comprato a ogni costo.

Cartarescu ha sancito il sentimento per il Turn-O-Graph. Da quell’istante sono risalito a un modello in vendita della stessa referenza, incredibilmente a Rimini. La coincidenza è che Rimini è la mia città, ci torno una volta ogni mese e mezzo, saluto i miei e mia sorella, vedo gli amici di sempre. L’ho interpretato come un segno junghiano. La faccio breve: sono andato in negozio e l’ho provato.

L’orologio mi sta benissimo. Al mio braccio il quadrante tropicale scalda la pelle diafana e dà una luce per via dell’acciaio non lucidato. Ho fatto una seconda prova, un mese dopo quell’agguato originario, perché magari la prima volta ero distorto dall’eccitazione: mi sta ancora meglio. Dai giorni successivi a quella seconda prova lo penso sempre, prima di dormire, mentre vado a prendere mia figlia alla scuola materna, mangiando, scrivendo. L’amore si è insediato.

L’amore insediato è il quadro più complesso, perché la spinta ad acquistare culmina in un tempo medio-breve e raramente ha erosioni. È uno stato pre-realizzativo che resta in circolo a morsa, convincendo le ultime resistenze a cedere. Solo un miracolo può mettermi in salvo. Inizio a tacere, ad annidarmi, a comprimermi a molla prima del salto, allo stesso modo del minuto di quieta premeditazione che anticipa le mani nella marmellata.

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Mi dico che non sarò né il primo né l’unico a sforare il proprio budget dell’85%. Mi dico che il mio essere scrittore ha bisogno di questi fuoripista, basti pensare a Joyce e alla sua collezione di montres da taschino, ai sigari di Hemingway, agli abiti di seta di Fitzgerald, ai pavoni di Flannery O’Connor, ai bracciali indiani di Dorothy Parker. Mi dico che è una questione clinica e psichiatrica: faccio parte dei soggetti iperfrontali, soggiogati dalla loro corteccia cerebrale che si irrora con più facilità rispetto agli stimoli adrenalinici e per più tempo, lasciandoli nella schiavitù del compulsivo-ossessivo. Joyce&Co., irrorazioni corticali. Mi dico tutto questo, e mi dico una data: 6 novembre 2022.

Il 6 novembre 2022, intorno alle nove e mezza di mattina, arrivo nel piazzale della stazione di Verona Porta Nuova. Sono alla fine del tour in Veneto del mio ultimo romanzo, e ho deviato il ritorno su Milano per incontrare un ragazzo che ho contattato su Instagram dopo aver letto un annuncio. L’annuncio mostrava un paio di scarpe che seguivo da quando mi sfuggirono alla prima vendita online: Nike Travis Scott Mocha Reverse.

Travis Scott è un musicista che ha fatto due figli con una Kardashian e ha disegnato una sua linea di moda. Per Nike ebbe un’idea semplice: invertire il verso dello swoosh (il baffo emblema di Nike) sul lato esterno della tomaia. La tiratura di questa scarpa si aggira intorno alle 55mila paia al mondo, molto poche: sono state esaurite nel primo giorno di uscita, entrando successivamente nel secondo mercato con prezzi folli. L’aggravante è che io ho un numero ancora più raro, il 46, cosa che restringe la possibilità di averle e aumenta l’unicità dell’impresa. Il costo medio della scarpa, in quella misura, al tempo era di circa 1600 euro. Il range di contrattazione, a novembre 2022, poteva andare dai 1100 ai 2100 euro. 

“Ho fatto una seconda prova, un mese dopo quell’agguato originario, perché magari la prima volta ero distorto dall’eccitazione: mi sta ancora meglio”.

Anche questa è una cifra violenta. Niente a che vedere con i trentamila dell’orologio, ma in proporzione sì: il Rolex mantiene una forte rivendibilità che può incrementarsi anche se moderatamente indossato, le scarpe diventano quasi invedibili appena toccano terra. E poi un orologio è un orologio, una scarpa è una scarpa: ma anche questo è relativo. Certo, l’impatto sul conto corrente non è equiparabile, ma in fin dei conti ciò che importa è metterci le mani sopra, avere la cosa, sentirla in sé stessi. Il meraviglioso possedere. 

Quel 6 novembre avevo deciso all’ultimo di deviare su Verona. Avevo tenuto in sospeso il ragazzo che non aveva un vero e proprio commercio di scarpe, ma solo certi modelli rari che gestiva con i suoi compagni di università. La sera prima avevo presentato il mio romanzo a San Bonifacio e avevo passeggiato a lungo in solitudine, ero tornato in hotel ed ero rimasto sveglio fino a tardi. Mi ero deciso all’ultimo: avevo mandato un messaggio al ragazzo, cambiato i treni e la mattina avevo raggiunto Verona in anticipo, aspettando su una panchina.  

Alle dieci il ragazzo si è presentato puntuale con la confezione originale delle scarpe. La confezione originale è importante, nel caso si volessero rivendere. L’ho aperta, ho iniziato il legit-check che è l’analisi scrupolosa di ogni componente, soprattutto delle cuciture ad angolo del pellame, la laccatura delle stringhe, più l’odore dell’interno. Serve ad appurare l’originalità, si stima che tra quelle in commercio un paio di scarpe Travis Scott su due siano contraffatte.

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È stato adesso, verificando lo swoosh e le punture frontali originali, che ho avvertito nitida la sintomatologia dell’amore: il battito cardiaco accelerato, il tremore delle falangi, una certa idea di non stare più nella pelle, una felicità rotonda. A differenza di quello che si pensa, quella felicità è di lunga gittata e irradierà ogni giorno, anche quando il possedere sembra essere assorbito e si stabilizzerà in una forma più morbida. È figlia della rarità della cosa posseduta, certo, ma soprattutto dell’avventura –  e della violazione –  che si è vissuta per averla. E la violazione incide la memoria.

La felicità rotonda e la sua belligeranza: mi sono più oscure da quel 6 novembre 2022, intanto che pagavo le scarpe al ragazzo, salutandolo e vedendolo oltre il blocco dei taxi, nell’attimo in cui lui spariva e io stringevo le Travis Scott Mocha Reverse tra gli avambracci, rimettendole con cura nella scatola originale, rimanendo sulla panchina, fermo con il mio bottino mentre in me tornava la voce di un’amica di Rimini, la mia migliore amica, che la sera prima all’hotel di San Bonifacio mi telefonava: Dal rene è salito al cervello, Marco, domani ho il risultato dell’istologico e capiamo il pasticcio. Il meraviglioso possedere, il suo compimento, e quella voce al telefono dentro il suo compimento: l’infrazione innaturale, come compare in infrazione innaturale in questo scritto.

Le Travis Scott e dal rene al cervello, le stringhe laccate e l’istologico, le cuciture ad angolo e il pasticcio, io che mi rialzo dalla panchina di Verona e ricompongo con cura la confezione originale, le palpitazioni per l’insediamento certificato e il telefono in mano per chiamare Rimini, dirigendomi verso il binario, l’amore nell’amore.

“A differenza di quello che si pensa, quella felicità è di lunga gittata e irradierà ogni giorno, anche quando il possedere sembra essere assorbito e si stabilizzerà in una forma più morbida”.

Poi avevo preso il Frecciarossa, avevo cercato il mio posto ma c’era troppa gente vicino. Avevo cambiato vagone e avevo trovato un sedile da quattro senza nessuno intorno. Mi ero provato le scarpe stando attento a non appoggiare le suole a terra, tenendo le gambe sollevate e allungando il collo per guardare lo swoosh di Nike al contrario. Mi stavano bene. Ero rimasto in quella postura, un trespolo sospeso, avevo appoggiato i piedi ed ero scoppiato a piangere.

Tempo fa il mio psicoanalista mi ha fatto una domanda: “E se dietro i suoi tentativi di possedimento, non ci fossero vuoti e dolori, Missiroli?”

Ho appuntato questo interrogativo in uno dei quaderni dedicati alla terapia, dopo aver riascoltato la registrazione della seduta (le archivio tutte con data). 

La settimana seguente mi ha chiesto di stendermi sul lettino e di raccontargli una favola che amavo dall’infanzia. Ho scelto Pinocchio e sono arrivato fino al punto in cui il burattino incontra il Gatto e la Volpe e si fa convincere a cedere le monete destinate al padre. In quel punto mi sono addormentato di schianto. Mi sono svegliato poco dopo, convinto di aver finito la storia. Allora mi è stato chiesto il perché secondo me Pinocchio cedesse le monete al Gatto e alla Volpe. Avevo un ricordo abbastanza preciso della mia risposta: Per diventare ricco. Invece nella registrazione rispondo: “Per capire”.

Per capire: cosa intende?”

“Capire se ha più amore per il padre o il Gatto e la Volpe”.

“Amore?”

“Bisogno”.

[Silenzio]

“Missiroli, quelle monete destinate al padre: ci vuole più amore a proteggerle o a cederle?”

[Silenzio]

“Più amore a proteggerle o cederle, Missiroli?”

“Il Gatto e la Volpe”.

Marco Missiroli

Marco Missiroli è scrittore e insegnante di scrittura. Il suo ultimo libro è Avere tutto (Einaudi, 2022).

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